Secondo spettacolo di un’ideale trilogia di un Sud fantastico, dopo Brevi giorni e lunghe notti – Storie di straccioni, di porci e di re, Sospiri – Un amore di contrabbando si inscrive in un percorso che “Compagnia Lumen. Progetti, arti, teatro” porta avanti parallelamente alla prosa contemporanea e al teatro per l’infanzia. Si tratta infatti di uno spettacolo di narrazione che si genera, come il precedente, a partire da una raccolta di materiali che Gabriele Genovese opera rispetto alla propria terra di origine: il Salento. Attingendo a storie di cronaca reale, storie famigliari e leggende, l’attore crea un microcosmo in cui la barriera tra la realtà e il sogno si fa labile.
I personaggi prendono vita dalle parole e dentro le parole riscompaiono agilmente lasciando la scena l’uno all’altro, portando la loro lingua dal sapore antico, il loro colore e la loro essenza con pochi tratti efficaci e capaci di parlare alla contemporaneità. Il piccolo mondo che si ricostruisce sulla scena e nella percezione degli spettatori, quella città portatrice di storie, è infatti sempre un paradigma che ha possibilità di declinarsi all’oggi e ne riflette le dinamiche, anche le più violente. In questa storia l’amore in tutte le sue forme è forza che travolge e lascia in terra.
Questa città-paese, simboleggiata sulla scena da pochi elementi che richiamano il mondo del contrabbando e il porto, è il contenitore aspro di sogni inammissibili, il bacino di provenienza di merci illegali, il luogo dentro di noi in cui non vogliamo guardare, quello in cui la deformità e la diversità hanno un valore, in cui tutto va più veloce di quanto possiamo controllare. L’amore, forza propulsiva dell’universo, non salva forse dalla morte, ma ciò che sopravvive negli occhi degli spettatori è il loro stesso desiderio di amare liberi dai condizionamenti sociali, a una velocità commensurata a quella del cuore e non a quella dei rituali sociali, di viaggiare veloci, sempre fiduciosi di evitare incidenti, certi che ci sia spazio per i propri sogni. Non c’è altro modo, il resto non è vita.
